Cosa erano le case del popolo? Roba del secolo scorso, roba vecchia un secolo. Il Teatro dell’Argine, radicatissimo a San Lazzaro di Savena (BO), vicino a quella che fu una grande casa del popolo, ripercorre con umorismo quella stagione epica, quell’impegnarsi della sinistra per dare un luogo e un orizzonte ai “bisogni del popolo” (l’espressione è come un filo rosso dello spettacolo).
Lo fa con umorismo, affidando a due attori, Lorenzo Ansaloni e Giovanni Dispenza, e a un’attrice, Micaela Casalboni, una folla di personaggi, ricavati tipizzando figure emerse da storie raccolte con interviste realizzate a Bologn< e in Emilia.
Casa del popolo debuttò nel 2017 e ora è stato ripreso e va in scena all’Itc Teatro fino a domenica12 febbraio. Sul programma di sala si legge:
«C’era una volta il popolo. Era un popolo ottimista, che credeva in sé e si impegnava in attività improduttive, tipo costruire “case” dove ritrovarsi tutti insieme a fare cose ricreative, per esempio ballare o giocare a carte. Anche oggi c’è il popolo: di solito viene evocato, ridotto a puro suono, nei dibattiti politici o nei comizi di piazza. Ma da qualche parte, come residuo di un mondo in via di estinzione, si aggira ancora un’umanità dedita al liscio, al burraco, ai quartini di vino e alle liti furiose per una giocata di briscola finita male».
Nello spettacolo il circolo ricreativo si immagina fondato un 9 febbraio 1923, cioè esattamente cento anni prima della serata cui ho partecipato. La storia finirà proprio il 9 febbraio del 2023, cento anni dopo. Perché il lavoro fu imbastito per un centenario.
Con qualche anacronismo percorriamo a volo d’uccello, in poco più di un’ora, 100 anni. In atmosfere lunari lo sguardo è sempre rivolto a un ‘orizzonte’ da raggiungere, che via via si allontana e quindi non si attinge mai, in una marcia verso il “futuro” (o il sol dell’avvenire). Nell’interno della casa assistiamo a una sfilata di tipi che cercano di interpretare i “bisogni del popolo”, e intanto di vivere, divertirsi, bere, intrecciare amori e amorazzi, esprimere opinioni politiche o semplicemente idiosincrasie e tic personali, combattere contro il fascismo, proteggersi dalla guerra, andando in montagna o seppellendosi in cantina, festeggiare la fine del conflitto…
Gli attori e l’attrice sono bravissimi. Con un gesto, un cambio di voce, una caratterizzazione slittano da un personaggio all’altro, imbastendo una commedia di tipi di paese e della sinistra lunga un secolo. Fino a giorni vicini ai nostri, quando in quelle che furono case del popolo si balla, si gioca a tombola, ci si distrae, o si rimane infine solo in tre, o da soli addirittura, a provare a guardarsi dentro senza capire come si sia passati dai bisogni del popolo a quella che ora si chiama “gente”, o addirittura al trionfo dell’io, io contrapposto a tutti gli altri, chiuso in propri recinti, che avverte negli altri solo minacce o nemici.
Nonostante qualche veniale, comprensibile schematismo, lo spettacolo con la regia di Andrea Paolucci, con le scene essenzialissime di Carmela Delle Curti, incalza divertendo e facendo pensare, con ritmi scorrevoli e qualche pennellata più acre. La storia è stata scritta per la scena da Nicola Bonazzi, che con più agio di spazio ha sviluppato i materiali raccolti nelle interviste in un bel romanzo, vincitore del premio Malerba. Ma di questo nella sezione dei libri.
(realizzato in collaborazione con Teatro delle Temperie)