Non sappiamo se c’è un disegno o se la trama è imbastita dal Grande Giocatore di Dadi, che nei suoi lanci inventa coincidenze, relazioni, incastri, casi.
Programmi incrociati
- Al Teatro delle Moline (Bologna, Ert), in occasione dei 50 anni di vita della sala aperta nel 1973 dal Teatro Nuova Edizione, va in scena il remake di un vecchio spettacolo, Freud e il caso di Dora. È un viaggio di un’ora esatta, scandita dall’orologio come una seduta di psicanalisi, nelle strutture narrative della cura freudiana, i loro formalismi, le loro convenzioni, che vanno sempre a scoprire nevrosi che hanno le loro radici nella repressione del desiderio e del sesso. Lo spettacolo del 1979 di Luigi Gozzi, ripreso da Marinella Manicardi con due bravi giovani attori, Stefano Moretti e Alma Poli, a rivederlo oggi sembra beffeggiare le semplificazioni interpretative della pratica analitica, affermando sommessamente, a mio parere, che siamo nell’universo dei modi del racconto e dell’interpretazione, con la possibilità del falso sempre in agguato e con una parete (la scena) che separa dalla conoscenza della verità interiore più vera. Su quel muro, la casa del dottor Freud, si accendono caselle con foto, con vecchi filmini super8, con disegni, con quell’orologio che scandisce il tempo, in uno spettacolo godibile, ironico, che ricorda i modi della nuova spettacolarità di quegli anni, che apriva la “prosa” verso altre discipline, soprattutto visive, sulla scia, con originalità, di quello che fu chiamato “teatro immagine”, verso il graphic novel e il postmoderno.
- All’Arena del Sole (sempre Ert) fino al 12 febbraio viene rappresentato L’Oreste, testo di Francesco Niccolini con Claudio Casadio e la regia di Giuseppe Marini, una produzione Accademia Perduta. Qui siamo in un manicomio e anche in questo caso ci sarà uno scavo analitico che ci porterà dalle parti del mito, della tragedia di Eschilo, con Oreste che uccide la madre per vendicare il padre e con l’ombra incombente di una sorella.
- La settimana prossima (16-19 febbraio), sempre all’Arena, arriva Pilade, uno spettacolo Blumotion con la regia di Giorgina Pi. E Pilade è l’amico che accompagna Oreste a compiere la sua vendetta. Leggo nel programma di sala: “È una tragedia del dopo, dove la temporalità mitica si disgrega… le Eumenidi sono diventate corpi transessuali”.

L’Oreste
Le Eumenidi sono presentissime anche nello spettacolo di Accademia Perduta. Scorrono, in forma di fantasmi della mente del protagonista, rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Sono figure di fumetto che appaiono sullo sfondo, gli parlano, lo ossessionano. Quel fondale riproduce un pezzo del murale inciso con una fibbia di cintura da Fernando “Oreste” Nannetti, NOF4, sui muri dell’ex manicomio di Volterra, dove fu rinchiuso per molti anni. E i deliri del nostro Oreste, di navigare su un’astronave per raggiungere il padre, riproducono in parte quelli di quel suo straziante modello, che dispiegò la sua sofferenza sui muri in un lavoro certosino, oggi considerato un capolavoro di art brut.
Niccolini ha ben tenuto presente quella vicenda, e tra i personaggi della storia appaiono un medico e un infermiere. Puntellano i deliri del nostro e poi lo liberano, ricordando come gli ospedali psichiatrici siano stati chiusi. Lui, Oreste, che qui si immagina rinchiuso a Imola, si inoltra verso la stazione, ma viene subito rigettato nelle stanze manicomiali dalla follia insanguinata del traffico e dalla cattiveria derisoria delle persone che capiscono che non è “tanto a posto”. Tra deliri, apparizioni della sorella, di un fantasmatico compagino di reclusione, del padre, della madre, dei sogni di spiccare il volo verso altri mondi, la Russia, lo spazio planetario, lo spettacolo sembra, per un buon tempo, adagiarsi in una stasi principalmente descrittiva dei caratteri. Ma quel ritmo serve, è funzionale, assai necessario a creare il personaggio e a insinuare in noi vari tarli. Dopo il tentativo di uscita tutto si accelera e lo psichiatra fa riaffiorare a coscienza l’evento che ha scatenato la follia: la visione dell’uccisione del padre da parte della madre (e del suo amante) e il successivo ritorno nella casa di lei di Oreste per vendicare il genitore. Allora capiamo che la sorella, morta bambina divorata dai maiali per una grave distrazione del padre per motivi di lavoro, è l’Ifigenia sacrificata da Agamennone, e che quel balletto di fantasmi, risolto con i bei fumetti di Andrea Bruno, sono le Erinni che tormentano la coscienza di Oreste e come il misterioso amico altro non è che un dio che facilita i passaggi, le trasmutazioni.
La materia, che ha qualche incoerenza drammaturgica, è resa magistralmente da Claudio Casadio con fare “distratto”, come se fosse sempre parlato da un’altra dimensione, da altre voci, oltre quelle che vediamo materializzarsi in figure: infantile, regredito, felice solo quando riesce totalmente a censurare il troppo sangue che ha costellato la sua storia, a cullarsi nell’illusione e nel gioco del viaggio interplanetario, a perdersi in un’antica, nostalgica canzone che chiede di parlare d’amore.
Di L’Oreste. Quando i morti uccidono i vivi si può leggere il libro con i disegni di Andrea Bruno, pubblicato nel 2021 da Poliniani.
