“Manicomio! Manicomio!” Gridavano sconcertati gli spettatori borghesi alla prima rappresentazione di Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, al teatro valle di Roma nel 1921. “Comunità terapeutica riabilitativa” griderebbero oggi, in preda ad aggiornamento di resipiscenza.
Il grido e la sua correzione woke risuonano nell’ultimo spettacolo di Paola Vannoni e Roberto Scappin (Quotidianacom), Algoritmo d’autore, che ha debuttato al teatro delle Moline di Bologna dall’11 al 22 dicembre, ispirato a Sei personaggi in cerca d’autore (si replica al teatro Quarticciolo di Roma in febbraio).
Questo spettacolo, come gli altri loro, ha la forma folle della divagazione continua, per associazione, per slittamento semantico, per sovrapposizione o fusione di piani, per accumulo e variazione di citazioni, per tagliente sguardo alla società della comunicazione e dello spettacolo, per deflagrazione. I due risultano insieme coinvolti e travolti dallo sviluppo inesorabile delle loro invenzioni in un ‘gioco’ teatrale che altrove ho chiamato a ragnatela, intreccio rizomatico di fili che sembrano divagare fino a far perdere la bussola e poi portano a un senso dolente, sconsolato di precisione di sguardo sul magma del reale.
Qui i due sono attori in cerca di personaggi, di una trama che dia loro consistenza, pur senza fornire la possibilità di trasformare l’andamento delle cose, di trame già costruite. Spazio diverso hanno i performer, dicono subito, capaci di essere e intervenire. Nella sarabanda di idee, affermate, ribadite e subito decostruite, i Quotidianacom si affidano a un super autore dall’aspetto molto contemporaneo, IA, l’intelligenza artificiale che, con spassosi interventi, un po’ rigidi, come comunque si addice a una macchina capace di incasellare ma non di modulare, prova a donare una trama ai due, mentre due muti testimoni (Cristina Matta e Romano Trerè) assistono immobili, fino a una rivelazione conclusiva. L’azione, vorticosa, ogni tanto si scatena in contenuti, meccanici passi di danza, con travestimenti ottenuti con semplici oggetti. I due protagonisti diventano Al e Go, parte di Algo-ritmo, mentre la parola ritmo scatena abbaiare di cani (un cane salvadanaio di ceramica sta sul tavolino che arreda la spoglia sala, emblema del “cinismo” di questo teatro senza facili consolazioni).
La caccia a qualche personalità che riempia uno, due, molti vuoti diventa frantumazione di realtà, caleidoscopio di situazioni e idee, da quelle del conversare quotidiano a citazioni da Camus, Céline, Cioran, per un divertimento pungente, sempre sul punto di irrompere nel grido di “manicomio!” (“comunità terapeutica riabilitativa!”), svariando dal diversivo al tormento, dalla fumisteria surrealista a carezze simili a quelle del boia sul collo del condannato.

È un umorismo raffinato e rastremato, algido, che consente di ridere solo a denti stretti. Se si lasciasse andare appena un poco di più creerebbe un tipo di spettacolo diverso, demenziale, molto coinvolgente, popolare perfino. Ma i Quotidianacom si “accontentano” di rendere il teatro una seduta di anatomia, in cerca, nel delirio dell’ammodernamento tecnologico, di un barlume di verità nella deflagrazione delle forme e dei contenuti, specchio esploso del nostro comune blaterare quotidiano, nel nostro stare in equilibrio su molti burroni.
Produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione
Le fotografie sono di Luca del Pia
