È giallo, tutto giallo, luminoso ma anche ombrato, il set di Sole e Baleno di Pietro Babina (testo, regia, scenografia, interpretazione), con le musiche di Alberto Fiori. Non c’è azione, se non verbale, sonora. Sono schierati in tre (la terza è Serena Abrami), davanti al pubblico, con cuffie audio, davanti a computer. E rimarranno fermi, di fronte al pubblico, per tutto lo spettacolo, una Opera-Ballade sul modello della brechtiana Opera da tre soldi, con esplicite citazioni, all’inizio del Möritat, poi della canzone di Jenny dei Pirati, di quella dei cannoni, qui bombe, di quella della schiavitù sessuale, quest’ultima opportunamente modificata in Canzone della schiavitù politica.
Raccontano una storia d’amore tra due ragazzi, propiziato da un magico antiquario che in una fiera, alle Canarie, fa guardare dai due lati di una specie di cannocchiale Soledad, argentina, e Baleno, anarchico italiano. E scocca, tra i due giovani, giovanissimi, la scintilla, il fulmine. Scrutando in quel tubo dei sogni si innamorano. Lei, per lui, diventerà Sole. Insieme andranno in Italia. Insieme saranno accusati da un giudice ed a un questore, con l’aiuto di un infiltrato e il sostegno di una giornalista intrigante e prezzolata, di ecoterrorismo. Finiranno in carcere. E lui, amante della libertà, si ucciderà. Lei, come Giulietta dopo la morte di Romeo, ne seguirà la sorte nella propria cella.
La storia si racconta con poche parole. Ma lo spettacolo invece è pieno di invenzioni: innanzitutto sonore, con le voci dei bravi attori deformate tanto da permettere loro di interpretare numerosi personaggi, creando dlel vere e proprie maschere vocali. Poi le canzoni, ispirate a Brecht, ma con sonorità contemporanee, con l’inframmettersi di parti ritmiche, incalzanti, di fischi, stridii, lamenti, con l’alone di un minaccioso rumore di fondo continuo che produce inquietudine, che ombra il giallo di quelle libertarie, immaginose bluse gialle majakovskijane, di quella luce che prova a opporsi alla oscura sfilata inziale pinocchiesca di un pullman trainato da ciuchi, con Napoleone in cima, con stormi di corvi capitalisti sul tetto, con un corteo di rappresentanti dell’Unione Europea che gareggiano a superarsi, a prendere la prima posizione, con altri ciuchi, verso un qualche Paese dei Balocchi, con una folta schiera di “canaglia pezzente” che appare dietro l’angolo, giovane, che porta tre bare con sopra scritto Liberté, da cui escono catene, Egalité, ne fuoriescono banconote, Fraternité, armi.

Il tono è espressionista, grottesco, all’inizio, e nei dialoghi, nei complotti dei personaggi di potere. Ma il bel testo di Babina si arricchisce del magico incontro con l’antiquario, che fa incontrare i due ragazzi e che riappare come visione nelle due celle d’isolamento, e di dolci momenti d’amore, nonché del tragico, romantico, finale, un lento doppio suicidio come invocazione di libertà, accompagnato da un’armonica a bocca suonata da Fiori sdraiato sul davanti del palco. E la terza figura in scena, una perfetta Serena Abrami, si slancia in melodie romantiche, in acuti svettanti e profondi, sempre insidiati, prima o poi, da quel rumore di fondo, prodotto da Fiori da computer e tastiere.
Lo spettacolo, prodotto nel 2024 e arrivato in questi giorni all’Arena del Sole di Bologna, si sviluppa per due ore, introducendo appunto infiltrati, poliziotti, voci di benpensanti, amici, compagni anarchici, le reazioni violente all’arresto dei due, usati come capri espiatori per una svolta repressiva. La grana politica non appanna la forza del testo, anche ingenua in certi momenti o meglio semplice, capace di colpire corde fonde di sentimento. L’unica riserva che si può avanzare è che avrebbero giovato all’insieme una maggiore concisione e un minore compiacimento di quella che è comunque una sapiente dimostrazione di virtuosismo attoriale, digitale, canoro, musicale e pure testuale.
Resta, alla fine scolpito l’incalzare del crudele destino dei due giovani innocenti in carcere, qualcosa che rimanda a Romeo e Giulietta, ma anche a vari delitti perpetrati dal potere, per esempio quello di Sacco e Vanzetti.
Le fotografie sono di Claudia Marini
