D’Annunzio a teatro? Certo. E non con un testo teatrale, che so, La fiaccola sotto il moggio, Francesca da Rimini, La nave, La figlia di Iorio. Con un romanzo, il primo, Il piacere, scritto tra 1888 e 1889, pubblicato da Treves nel 1989, considerato una specie di manifesto del decadentismo italiano.
È Andrea Adriatico, uso a sfide ardimentose, ad avviare l’impresa. Avviare, perché nei Teatri di Vita, che dirige a Bologna con Stefano Casi, debutta uno spettacolo ispirato solo al primo capitolo del romanzo, quello che racconta l’attesa di Andrea Sperelli, in un ambiente raffinato, carico di fiori e di oggetti floreali, di Elena Muti, che era stata sua amante anni addietro, che ha incontrato per strada casualmente e che ha invitato a venirlo a trovare. E il resto della storia, gli altri capitoli? Saranno oggetto di prossimi spettacoli, con la promessa, quindi, di un vero e proprio ciclo dedicato al Piacere.
Non è questa, però, la sola sfida del regista. All’inizio siamo accolti da un’immagine del Vate, con la classica pelata e baffetti, il poeta maturo, non quello giovane che stilò quel primo romanzo. Immobile all’entrata degli spettatori, quando le luci si spengono l’effigie inizia a parlare. Con la voce di Pasolini. Dice un testo del film La rabbia: se non si grida e viva la libertà ridendo, non si grida e viva la libertà… se non si dice e viva la libertà con amore non si grida e viva la libertà…: solo l’amore conta.
Succedono immagini di volti, di uomini, di donne, come in un film muto. Fantasmi, dal trucco caricato. La voce di Pasolini descrive Sperelli, il trauma infantile della fuga della madre, l’amore per Roma, non per quella dei Cesari ma per quella dei Papi, rinascimentale e barocca. Quindi D’Annunzio con la voce di Pasolini inizierà a raccontare l’atmosfera del giorno dell’incontro, il pomeriggio di un San Silvestro con le strade popolate come fosse maggio, la luce dorata di Roma, verso Trinità de’ Monti, l’attesa spasmodica di Elena, la memoria dei giorni d’amore e dell’addio… Ricostruzione vocale o intelligenza artificiale, con il deragliamento di associare una voce all’immagine di un’altra persona? Una linea D’Annunzio-Pasolini? Dove? Nello stile? Nella ricchezza di coloriture stilistiche, tanto diverse dal nostro piatto linguaggio quotidiano? La diversa ma per certi versi analoga ricerca di letterarietà?
Ed ecco un altro deragliamento. Irrompono tre giovani d’oggi (coatti? borgatari?) con il rap di Fabri Fibra E stavo pensando a te (che figata andare al mare…). Saranno loro a raccontare l’attesa di Andrea. E l’incontro con Elena, intorno al cilindro di veli che accendono, illuminandolo dall’esterno, rivelando così la stanza di Sperelli.
La figura dei due attori che interpretano gli amanti di un tempo, alla ricerca non tanto di amore, quanto di piacere da rinnovare, con lei lontana, restia, sposata a un altro in quei due anni di distanza, lui che cerca di rapinarne gli abbracci, il corpo… Qualche sobria battuta e poi gli interventi di quel coro d’oggi (Michele Balducci, Innocenzo Capriuoli, Alessio Genchi, con Patrizia Bernardi apparsa in video a completare il cast). Lui è Nicolò Collivignarelli, lei Sofia Longhini: sono due silhouette, due immagini sospese, due fantasmi; i tre li circondano, li illuminano da più parti, rivelano l’evolversi delle situazioni in modo piano, efficace. E ogni tanto il D’Annunzio Pasolini interviene a registrare l’atmosfera, il passare del tempo, la tensione dei due che cala e sale fino al tramonto che porta alla separazione.
Difficilmente valutabile questo spettacolo. Conviene rimanere in attesa dei suoi sviluppi. Interessante d’idea di distanziare (di creare una lontananza intellettuale e dei sensi) usando immagini cinematografiche, come pure lo svisare tra immagine riprodotta e presenza, come pure quel corto circuito tra Pasolini e D’Annunzio, che toglie retorica al Vate, forse, e trova una nota pasoliniana nelle sue descrizioni atmosferiche romane.
I due protagonisti, dicevo, sono figurine di una recita quasi da fantoccini: con baffi all’insù dannunziani lui, con un ovale perfettamente fine Ottocento ma un portamento troppo contemporaneo lei, nonostante l’abito fin de siècle. L’intrusione dei tre ragazzi la leggiamo come una possibile storia d’oggi, solo con stile differente (il rap al posto della prosa ricercata ed effettistica del romanzo, un altro modo di fare stile per narrare), e come uno sromanticizzare il tutto, dannunzianamente, andando nel rapporto alla ricerca principalmente del piacere. Eppure pesano quelle frasi inziali, sulla libertà, sul gridare evviva la libertà, ma con amore, solo con amore, altrimenti non si grida evviva la libertà. Amore… Libertà… Intanto mi sembra trionfi una gagliarda voglia di sperimentare, di moltiplicare.
Vedremo come continuerà questo spettacolo, dai forti connotati della ricerca linguistica, di cortocircuiti linguistici.
