Alessandro: un intellettuale dalla parte degli ultimi

Alessandro è uno spettacolo commovente. Di quelli che suscitano un tipo di commozione particolare, screziata, fatta di partecipazione alle vicende dei più umili raccontate, di indignazione per la violenza e per la distruzione di persone e paesaggi, di voglia di capire le ragioni, di non perdonare i torti ma di mettere in moto, senza sentimentalismi o pietismi, la pietà come sentimento di solidarietà umana. Narra alcuni momenti della vita e del pensiero di Alessandro Leogrande, straordinario intellettuale morto a quarant’anni nel 2017. Era tarantino e la sua città amava e cercava di interpretare nelle sue terribili trasformazioni in una “città groviera”, espansa e scentrata, preda della speculazione e della devastazione portata dalla fabbrica e dalla cattiva politica. Viveva a Roma, ma si era spostato a lungo nel foggiano, nella Capitanata, per studiare i soprusi del sistema del caporalato. Aveva interpretato le frontiere, lo spostarsi e il dissolversi dei confini e il tentativo di erigere impossibili muri intorno alla nostra “civiltà”, in un mondo di fluidità, dove il passaggio da una terra all’altra era affidato alle terribili o cariche di speranza onde del mare. Ed era un grande scrittore. A risentire le parole di alcuni suoi articoli, di alcuni capitoli di suoi libri, si rimane incantati dalla lucidità dell’analisi, ma anche e soprattutto dalla capacità di penetrare e rendere vivide le situazioni, le derive politiche, figurandole in persone, in sentimenti, in conflitti, in immagini cariche di risonanza.

Fabrizio Saccomanno, nello spettacolo di Koreja, visto (tardivamente: è del 2022) al teatro Piccinni di Bari, per ricordare il47esimo compleanno dello scrittore, dà voce con sensibilità al suo pensiero e alla sua scrittura: la indossa in una narrazione piana e interiore, anche quando racconta fatti di cronaca terribili. In piedi, in un angolo appartato illuminato da un faro concentrato su di lui, su una sedia, l’attore ripercorre una vicenda umana e politica eccezionale, sempre con commossa partecipazione, senza nulla di più o di meno, facendo entrare in appena un’ora lo spettatore in quel mondo complesso.

I suoi interventi sono intervallati da melismi, da cori in contrappunto, da voci che richiamano musiche d’anima come lo spiritual, incarnate da quattro giovani, bravissime, cantanti.

Lo spettacolo davvero traccia un bel profilo. Per la sua brevità gli si potrebbe imputare, certe volte, di non dare tutta la complessità del pensiero di Leogrande, per esempio sull’Ilva. Nel pezzo riportato sembra Alessandro schierato decisamente contro la fabbrica, mentre molto più articolata è stata la sua riflessione, volta a salvare il lavoro, pur con tutti i dubbi che il caso non poteva non suscitare.

La via della commozione funziona teatralmente, ma riduce, inevitabilmente, un pensiero complesso, fatto di osservazione sul campo e di deduzione di possibilità sociali e politiche, spesso presentate, da Leogrande come ipotesi di lavoro. 

Sta proprio qui il fascino e il limite del teatro, di questo teatro di memoria: assolutizzare, non mostrare i rovelli del dubbio. 

Ma assolutizzando, conquista: fino all’apparizione finale del Martirio di san Matteo di Caravaggio e alle parole di Alessandro sulla pietà: per le vittime, ma anche, in fondo, per la miseria dei carnefici. 

Alessandro. Un canto per la vita e le opere di Alessandro Leogrande – uno spettacolo di Koreja > di Gianluigi Gherzi e Fabrizio Saccomanno con Fabrizio Saccomanno, > Elisa Morciano, Emanuela Pisicchio, Maria Rosaria Ponzetta, Andjelka > Vulic regia Fabrizio Saccomanno cura del progetto e consulenza > artistica Salvatore Tramacere tecnici Mario Daniele, Alessandro > Cardinale coproduzione Ura Teatro > si ringrazia Feltrinelli Editore > > grazie a Cecilia Bartoli, Mario Desiati, Emiliano Morreale e Laura > Scorrano un ringraziamento speciale a Maria Leogrande  

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