“Questo amore è una camera a gas” cantava Gianna Nannini nel 1984. Luisa non era ancora nata, o forse non l’ascoltava o preferiva Massimo (Di Cataldo) o Eros (Ramazzotti). Certo che lei l’amore lo ha sempre sognato. Fin dalle elementari esperta in liste (anzi artista nel compilare liste di ogni tipo – così si presenta), la sua specialità sono state le liste d’amore, a cominciare da quelle dei bambini maschi della sua classe che vedeva come i suoi principi azzurri, Michele, cinque Micheli, lo stesso nome del padre (Freud stai calmo!).
Luisa Borini in Molto dolore per nulla sul palco dell’Itc Teatro a San Lazzaro di Savena (Bologna) racconta la storia e gli innamoramenti di una donna che si chiama come lei, Luisa. Recita frontale al pubblico, con un microfono dal quale ogni tanto scappa, lasciando uscire, flebile, la sua voce, quasi una vocina clandestina. Ha un abito rosso, stivaletti azzurri ed è circonfusa dalla luce di alcune colonne di led dai colori cangianti (disegno luci di Matteo Gozzi).
Ci porta, confidenzialmente, nei suoi amori, nei suoi desideri, nei suoi scoramenti, nei suoi dolori, facendoci ridere, trascinandoci con canzoni d’amore, più vissute che cantate, interpretate come parti di sé, del suo sognare, amare, contorcendosi, facendo uscire una voce non sempre a tono, sempre capace di scatenare l’applauso della platea.
Ci parla della sua vita a Terni e poi del trasferimento a Bologna, dove incontra Lui, un ragazzo biondo, fratello di uno di quelli che vivevano nella sua casa incasinata di studentessa fuori sede: biondo, siciliano, occhi azzurri, bello, bellissimo: un amore bruciante, che la porta a trasferirsi, per seguirlo, dall’altra parte del mondo, fino in Australia.

A vivere con lui momenti sempre più esaltanti, insieme, fino a quando quell’insieme, in una cruda luce di taglio, non diventa un INSIEME, qualcosa che toglie il respiro, come lui, che le sta addosso, che la opprime con la sua gelosia, forse la picchia. “Questo amore è un gelato al veleno”, cantava ancora la Gianna.
La stand-up comedy, la visione umoristica della vita di tutti i giorni, con le sue idiosincrasie, piccole o grandi, si tinge di sofferenza, andiamo dalle parti dell’oppressione. E qui lo spettacolo diventerebbe facile, con la sua consolante morale politica di attualità. Ma Luisa, capace di giocare sui livelli, ha un guizzo: lo lascia, torna a casa, anche se la sua vita diventa uno “schifio”, anche se la sofferenza la rode dentro e le porta reazioni fisiche devastanti.
Le luci diventano più drammatiche. La maschera del microfono cade e la voce del personaggio rimane desolata, vera, non più ‘pompata’ e spuria. Fino a un finale di consapevolezza profonda, un messaggio a lui, mentre lei è a Parigi, vicino a casa del ragazzo, un messaggio sereno, che mostra l’affetto che c’è stato senza dimenticare la distanza incolmabile scavata. Lei esce di scena. Il microfono resta, solo, sul palcoscenico.

Lo spettacolo ha vinto il premio “In-box”, un originale riconoscimento che ricompensa con repliche nei teatri che sostengono il premio. Molto dolore per nulla girerà parecchio. Andatelo a vedere se capita nella vostra città: è un’ora circa che vi fa passare dall’allegria, dalla caratterizzazione umoristica di piccoli difetti e sogni comuni a una pensosità densa, venata di rivoli, anche profondi, di quella sofferenza che accompagna i rapporti.