Moline trent’anni

Un ricordo del Teatro delle Moline, scritto per il trentesimo anniversario dello spazio bolognese.

Era il 1973. A Roma, nelle ultime cantine, furoreggiava il teatro immagine di Vasilicò e Perlini, nomi che probabilmente oggi dicono qualcosa solo agli esperti. Leo de Berardinis era scappato dalla capitale verso l’entroterra campano, a creare straordinarie sceneggiate intessute di Shakespeare, Schoenberg e free jazz. Carmelo Bene era approdato ai grandi teatri senza smettere il ghigno provocatorio. A Bologna era nato da poco un nuovo corso di laurea, il Dams, che avrebbe svecchiato l’immagine della città e avrebbe concentrato nel vecchio Studio gli appassionati di arti e spettacolo di tutta Italia. Barba entusiasmava, Grotowski era già un mito, e il Living tornava a coinvolgere con il teatro, dopo alcuni anni dedicati all’azione politica diretta in varie parti del mondo. Si stava chiudendo la stagione del ’68 e se ne apriva una diversa, di ripiegamenti e di ultimi fuochi, di conflitti estremi e di nuove necessità di capire, di approfondire, di rovesciare apparenze troppo comode.

Fra la stazione e l’università, in una piccola sala, nasceva a Bologna il Teatro delle Moline, fondato da Luigi Gozzi e Marinella Manicardi, animatori del Teatro Nuova Edizione, uno dei primi gruppi di avanguardia bolognesi, fondato da Gozzi, scrittore, regista, attore, con il fratello Alberto, scrittore. Un teatrino per spettacoli da camera, per esperienze fuori dall’ordinario in una città che si era ridotta ad avere pochi teatri, il Comunale, il Duse e la Ribalta (poi Soffitta, poi estinto), e qualche parrocchiale. Una vecchia sala d’armi di palazzo Bentivoglio, poi una falegnameria, uno studio d’artisti, infine il primo luogo dedicato alla ricerca, a spettacoli ma anche  a laboratori, a rassegne di film, a seminari per gli studenti che affluivano al Dams, dove Gozzi era assistente di Squarzina e offriva uno dei pochi corsi pratici, in una scuola che doveva trovare un’identità fra teoria accademica, osservazione del nuovo, necessità di formare intellettuali capaci di operare nei territori.

Il mio ricordo delle Moline degli inizi è quando studente, appena arrivato a Bologna, mi trovai a seguire un corso di Gozzi. Dovevamo lavorare sulle strutture stereotipe dei fotoromanzi (o quello era il mio compito particolare? Non ricordo bene). Ci trovammo in quella piccola sala, in cerchio, a discutere,a fare, a provare. Avevamo una gran fame di fare e di capire. E poi (o subito prima?) un incontro con uno degli attori di Grotowski, che ci strabiliò con i suoi esercizi ai limiti delle possibilità umane e con le sue parole sul lavoro con il maestro, un viaggio entusiasmante, faticosissimo, nelle “tecniche” del “Teatro povero”, e poi alcuni spettacoli “da camera”, della ricerca di quegli anni.

In seguito i ricordi si concentrano sugli spettacoli del teatro Nuova Edizione, e si fanno folla. Ricordo Gozzi intabarrato in camicia da notte e veste da camera, con papalina e occhiaie segnatissime, in una scarnificazione del Malato immaginario di Molière, col suo corpo lungo, la parlata biascicata, l’iterazione di situazioni che mettevano a nudo i gangli crudeli del testo. Ricordo viaggi nei tic comunicativi di tanti altri suoi lavori; lo scavo  nei meccanismi della psicologia (e della narrazione psicanalitica) in Freud e il caso di Dora e La doppia vita di Anna O., con l’emergere definitivo di Marinella Manicardi come presenza carismatica. Fino agli ultimi lavori, alla collaborazione con Marcello Fois, Mario Giorgi e Carlo Lucarelli, continuando e approfondendo la strada del dialogo stretto con gli scrittori, per leggere la realtà, ma non in superficie, a fondo, andando a mettere a nudo i meccanismi dell’interazione, le simulazioni e le astuzie di una comunicazione che spesso serve a nascondere, a mistificare. Dovremmo rammentare tanti altri spettacoli, tanti laboratori, tante difficoltà nel rapporto con il potere amministrativo della città, spesso uso a valutare in termini di numeri un’attività che invece è di lenta, costante inseminazione, minoritaria per definizione e necessità. E ancora rammentiamo l’attività editoriale dedicata alla nuova drammaturgia, i convegni su questo stesso problema, e tanti lavori di debuttanti che poi hanno fatto strada: come la bellissima scoperta di “mPalermu” di Emma Dante, col pubblico accalcato all’inverosimile, un paio di anni fa.

Le Moline sono uno spazio necessario, al quale la cultura della città deve molto. Buon compleanno.

Pubblicato in: Teatro Nuova Edizione, Trent’anni dopo: il Teatro delle Moline, a cura di Luigi Gozzi e Marinella Manicardi, Ferrara, Editai, 2006.

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